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30 Aprile 2007 ARCHEOLOGIA
La Stampa
"Toglierò dalla sabbia la seconda Sfinge"
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Bernardino Drovetti da Barbania ad inizio Ottocento trovò nella zona di Karnak e Luxor qualcosa come 3000 reperti che oggi costituiscono l'ossatura del Museo Egizio di Torino. Antonio Lebolo da Castellamonte, nello stesso periodo e negli stessi luoghi scoprì quei papiri che poi in qualche modo giunsero in Ohio, ispirarono il «profeta» Joseph Smith e ancora oggi sono la Bibbia dei Mormoni.

Indiana Jones venuti dal Canavese, proprio come Diego Baratono, 47 anni da Agliè, studioso egittologo che oggi è pronto all'avventura della vita: arrivare fino alla piana di Giza per dimostrare che laggiù, sotto venti metri di sabbia, esiste addirittura una seconda sfinge. Un sogno incredibile, che accarezza dalla fine degli anni Novanta, quando sfogliando le carte come un certosino esclama il classico «Eureka!» Trovata, la teoria:non avrebbe senso quel micione di pietra senza il suo gemello, «è scritto nelle stelle, non ci ha mai pensato nessuno ma è proprio così».

Lui però non è un accademico, nella vita fa l'impiegato al tribunale, e la missione è tutta in salita: «Sapesse quanti ostacoli, ma io lo so, là sotto c'è qualcosa. E ci arriverò». Pubblica un libro, «Le abbazie e il segreto delle piramidi», che oggi è pure alla Princeton University, Usa, va in giro a tenere conferenze. Intanto aspetta il momento buono. Eccolo, finalmente. Armani Group, che da anni è impegnato a sostenere ricerche culturali, si offre come sponsor. La spesa, tutto sommato, è modesta: poche migliaia di euro, escludendo la strumentazione. La spedizione sarà supervisionata dalla congregazione Ssa (Servizi speciali archeologici). Baratono partirà a giugno con un geologo, un topografo, un'interprete egiziana. Per fare cosa, per scavare?

«No, è questo il fatto. Non toccheremo niente. Eseguiremo una specie di tac della superficie che abbiamo individuato sulle mappe, poi azioneremo dei rilevatori che si chiamano geofoni. Senza sollevare un granello di sabbia», racconta. Il bello è che sanno esattamente dove cercare. «È proprio in quel punto - e indica la cartina su Internet - Dovessimo davvero trovare qualcosa, allora passeremmo la palla al governo.

Dovranno essere loro ad occuparsi degli scavi». Sì, ma questa teoria?

Raccontata da lui fa rimanere a bocca aperta perché tutto quadra. È una specie di puzzle da ricostruire, con i due leoni che tra l'altro erano ben visibili pure nelle iscrizioni più antiche: «Quel popolo si limitava a osservare e riprodurre: le piramidi sono una specie di mappa del cielo.

Corrispondono a due stelle della costellazione del Leone e una della Vergine in un momento ben preciso: i solstizi d'estate e d'inverno, quando s'ingrossa e s'inaridisce il Nilo, che per loro era il vero punto di riferimento».

E la sfinge? «È piazzata ad Est, "sputa" il sole. Manca quella che lo "inghiotte", ad Ovest. Ed è lì che la cercheremo». Traccia delle linee sulla mappa e il gioco è fatto. Piramidi e sfinge (è il caso di dire sfingi?) rispettano «un ordine geometrico conosciuto già 12 mila anni prima di Cristo. È l'esagramma. Io ci sono arrivato studiando le abbazie cistercensi: ad esempio a Staffarda quella figura si ritrova». Viene da immaginarli Diego Baratono e gli altri il prossimo 21 giugno (il solstizio d'estate...), che toccano il loro sogno con un dito: sfiorare, dopo cinquemila anni, il mistero del secondo micione - un colosso da 60 metri per 20 -, ovvero l'ultima arca perduta.